La società nelle sue varie e complesse parti è intrisa di sessismo e contemporaneamente di moralismo bigotto. La sessualità è una parte importante della vita di ciascun@, anche quando decidiamo di non esercitarla. La sessualità ed il sesso debbono essere argomenti di confronto e di conoscenza, se non altro per sottrarli al campo dell’economia, del potere politico e di quello giuridico.
Disporsi ad un confronto su questi argomenti significa anche riconoscere le costruzioni interpretative con cui viviamo e, quindi, mettere in campo un percorso di analisi, anche personale, riconoscendo a questo aspetto della vita un valore politico. Il personale è politico.
Quando si affrontano temi quali il comportamento sessuale, è sempre difficile prescindere dal contesto in cui ci troviamo, dal periodo storico in cui siamo cresciut@, dalle esperienze che ci hanno format@.
Secondo un modello sociale diffuso il binarismo e l’eterosessualità normativa regolano le tipologie di genere cui siamo invitat@ ad aderire che, secondo questa logica, prevedono una serie di comportamenti da mantenere nel “gioco della seduzione”. Le femmine, per lo meno nello schema classico di questa cultura, sono educate alla passività, debbono essere “quelle che fuggono”; i maschi, polo antitetico e complementare, sono la parte attiva, che caccia ed insiste con tenacia minando e corrompendo la “fragile” preda, la quale fino a pochi anni fa non poteva cedere con troppa facilità la propria virtù, pena uno stigma sociale a vita.
La stessa giurisprudenza italica ha riconosciuto solo di recente, era il 1996, la violenza sessuale come reato contro la persona spostandolo dalla sezione reati contro la morale, sezione in cui era classificato nel fascistissimo codice Rocco.
Riporto di seguito, per dare un esempio di una mentalità specifica non poi così lontana dal nostro tempo, una sentenza del 1982: “Qualche iniziale atto di forza o di violenza da parte dell’uomo, secondo una diffusa concezione, non costituisce violenza vera e propria, dato che la donna, soprattutto fra la popolazione di bassa estrazione sociale e di scarso livello culturale, vuole essere conquistata anche in maniere rudi, magari per crearsi una sorta di alibi al cedimento ai desideri dell’uomo” (sentenza del Tribunale di Bolzano del giugno 1982).
Questa sentenza ci racconta che ancora all’epoca (un epoca non poi tanto lontana) la donna veniva considerata una preda ritrosa da conquistare, che era compito sociale e riproduttivo del maschio farne oggetto di possesso, perché questo ella voleva, incapace come era di scegliere per se. Ma ancora, “nel maggio del 2015 il tribunale di Modena assolse tre ragazzi dall’imputazione di stupro nei confronti di una ragazza ubriaca perché ‘se è vero che il comportamento passivo della vittima e il fatto che scivolasse nella doccia avrebbero dovuto indurli a sospettare che la stessa avesse perso la lucidità necessaria per presentare un valido consenso all’atto sessuale è altrettanto vero che l’assenza di azioni di respingimento e di invocazioni di aiuto avrebbero potuto ingenerare la convinzione che la sedicenne fosse consenziente’ (“La violenza sessuale” di Giulia Siviero)”.
Queste sentenze si inseriscono perfettamente nella così detta Cultura dello stupro. Ma cosa intendo per Cultura dello stupro? Vorrei partire da una definizione classica per poi ragionare sulle prospettive che si danno ora di lotta e decostruzione e sovvertimento di tale cultura.
Per cultura dello stupro si intende “(…) un complesso di credenze che incoraggiano l’aggressività sessuale maschile e supportano la violenza contro le donne. Questo accade in una società dove la violenza è vista come sexy e la sessualità come violenta. In una cultura dello stupro, le donne percepiscono un continuum di violenza minacciata che spazia dai commenti sessuali alle molestie fisiche fino allo stupro stesso. Una cultura dello stupro condona come ‘normale’ il terrorismo fisico ed emotivo contro donne. Nella cultura dello stupro sia gli uomini sia le donne assumono che la violenza sessuale sia ‘un fatto della vita’, inevitabile come la morte o le tasse.” (Emilie Buchwald, Pamela Fletcher, Martha Roth; Transforming a Rape Culture, Minneapolis (1993), MN: Milkweed Editions.)
Ora, vorrei sgomberare ogni ombra di dubbio sul mio posizionamento in merito a certe teorie essenzialiste o moraliste. Non credo che il maschile o il femminile siano due entità/essenze astratte. Se esistono i sessi biologici (compresi i vari polimorfismi biologicamente descritti da varia letteratura), non esiste invece, secondo me, un binarismo essenzialista. Taglio per forza con l’accetta per ragioni di spazio e me ne scuso, ma il punto centrale è che la differenza maschio/femmina non può essere riassunta in una essenza che tutto spiega e solo in termini dicotomici. Le differenze sono il frutto dell’azione storica e geografica di forze che si mettono in campo e che agiscono sui corpi normandoli.
Ed ancora molto brevemente, credo che quando esistono la consapevolezza e il libero esercizio della propria volontà nell’ambito della sessualità, ciascun@ possa fare di sé quello che desidera in quel momento e se non c’è forzatura da parte di altr@, o inganno, ognun@ decide di sé, per sé.
Al tempo stesso non credo che possa bastare affermare un semplice ribaltamento dello schema classico nei rapporti/relazioni sessuali, non basta cioè, sapere o affermare che anche le femmine possono “cacciare” per credere di essersi liberate da una dinamica relazionale così pervicace, un gioco che prevede ruoli predefiniti con cui partecipare, ma che non mette in campo nessuno strumento per capire e sentire quali sono i nostri desideri e quali quelli altrui.
Molto genericamente quindi, nella “danza della seduzione” le donne sono invitate ad essere passive, ritrose, poi vittime, sottomesse, sedotte, conquistate; gli uomini al contrario sono invitati ad essere attivi, responsabili, determinanti.
A posteriori, la nostra lettura, quando cerchiamo cioè di capire cosa è accaduto in un evento, è fortemente condizionata dai modelli di conoscenza della realtà nella quale siamo cresciut@. È anche per questo che credo che possiamo, ma soprattutto dobbiamo, rivendicare tutte le nostre anomalie rispetto al “comune senso del pudore”, rivendicare il nostro piacere ed il modo in cui lo raggiungiamo, a prescindere da quello che è considerato “legittimo”, nel rispetto, ovviamente, della/e nostra/e controparte/i, quando e se c’è/ci sono.
La libertà nell’esercizio, nella sperimentazione, nella scoperta della propria sessualità e delle mille sfaccettature che può avere è cosa ben diversa da ciò che ci viene propinato dal mainstream. Il libero godimento della propria sessualità non si concilia con le indicazioni educative di un sistema che monetizza gli istanti della vita delle persone e le loro parti del corpo.
Gli input che ci arrivano ci raccontano un dover essere in cui i corpi hanno un valore economico e alcune parti ne hanno uno aggiunto; sono corpi mercificati e lisciati per venderci qualcosa, per agire sulla nostra pancia attraverso i nostri occhi, per condizionarci ad “aspirare ad essere” e per essere costantemente inadeguat@. Sono immagini che costruiscono i nostri desideri.
Viviamo in un mondo in cui solo in apparenza c’è libertà in questo ambito, viviamo e cresciamo in un sistema che non fa che aumentare la consapevolezza individuale di ciascun@, ma anzi la annebbia, la copre, la deforma, sottraendoci strumenti di conoscenza.
Non siamo invitat@ a scoprire quanto è bello e piacevole toccarci o toccare o scoprirci o spogliare, non siamo invitat@ a sperimentare ciò che di vitale c’è in noi e negli/nelle altri/e con le loro forme, i loro ed i nostri volumi, odori, umori, ma anzi siamo invitat@ ad assorbire con passività uno stile a cui possiamo aspirare, a modellare il nostro erotismo secondo le regole del mercato fallocentrico, il cui imperativo è quello che vige in ogni commercio: il consumo. Siamo invitat@ a consumare secondo la brochure allegata, ad essere, o a fallire nel tentativo di essere, ciò che prevede la confezione.
L’intimità e i sentimenti, i legami affettivi o la responsabilizzazione individuale e di gruppo, gli strumenti per liberarci dai condizionamenti o anche solo la ricerca dei nostri desideri, delle nostre paure… tutto questo non ci viene dato e non siamo invitat@ a cercarlo.
Contemporaneamente i messaggi che ci investono sono di tipo moraleggiante. Da un lato, per una parte molto chiassosa anche quando silente della società, non ci si deve occupare di insegnare il rispetto delle diverse identità, comprese quelle di genere, perché in questo modo si violerebbe e condizionerebbe la crescita de@ fanciull@, che deve avere una sua “naturale” evoluzione, la quale ha due binari e solo due in cui potersi esprimere, con caratteristiche ben precise e comprovate da qualche migliaio di anni di dominio patriarcale. Dall’altro, ci informano che non possiamo che essere vittime di bruti (quasi sempre tra le mura domestiche… ma tant’è), a causa molto spesso della nostra incapacità di gestire la libertà che ci è stata data. Insomma, il famigerato “se l’è cercata… andava in giro come una troia” – ma è possibile rivendicare la nostra libertà di vestirci come ci pare senza sguardi giudicanti e moralisti, senza per questo essere aggredite o insultate? È possibile rivendicare la libertà della nostra sessualità con o senza affetto?
Quando si ragiona sul consenso nelle relazioni sessuali non lo si può fare, a mio parere, se non si considerano uomini, donne, trans o queer che siano, ugualmente responsabili delle proprie scelte. Leggendo in rete sulla Cultura dello stupro mi sono imbattuta in una blogger che scrive in italiano dal Canada. Era l’Ottobre 2016 e lei è Eleonora Ingrassia. Nei campus universitari del Quebec diverse proteste di donne denunciavano gli stupri avvenuti all’intero degli appartamenti del campus e il ruolo non chiaro della polizia.
La parte interessante di quel post era proprio la riflessione sul termine “cultura” nella frase “cultura dello stupro”: la blogger evidenziava le ragioni per cui, secondo lei era necessario sostituire al termine cultura quello di “tradizione”, “tradizione dello stupro”, in una prospettiva di cambiamento, di rilancio di una cultura che non preveda lo stupro come pratica possibile, di una cultura che insegni e educhi al consenso. Io ritengo che questo debba essere lo spirito giusto con cui affrontare questo drammatico aspetto della realtà.
Alla Cultura dello stupro dobbiamo opporre con forza una Cultura del Consenso che educhi al confronto con l’altro da noi, che ci renda attenti anche a quelle dinamiche in cui capita di perdere la lucidità, penso ad esempio alle situazioni di baldoria in cui ci possono essere vari eccessi, penso alla capacità di reazione che potremmo avere nelle varie situazioni che ci possono coinvolgere direttamente o delle quali possiamo essere spettatori.
Se guardo agli spazi di movimento, ad esempio, me li immagino come spazi sicuri in cui tale cultura non possa mai essere accettata, nemmeno sotto forma di battuta scherzosa e, questo, non per una incapacità bacchettona all’ironia ma proprio per una interiorizzazione del valore politico dell’antisessismo ed in generale del valore politico del rispetto dell’altr@ e della sua volontà. Ecco il punto centrale delle campagne e delle lotte che dovremmo mettere in campo ovunque ci troviamo e qualunque ruolo ricopriamo in quel momento.
Il consenso è centrale in ogni relazione comprese quelle sessuali. Da alcuni anni anche in italia, in alcuni spazi di movimento sensibili all’antisessismo si possono trovare scritte, adesivi, volantini a volte, che riportano uno slogan contro la violenza sessuale incentrato sul rifiuto attivo – “no means no” (no significa no). A questa campagna che ritengo importante e significativa soprattutto nella portata che ha avuto in alcuni ambiti, vorrei però aggiungere quella del “si significa si”. Il ribaltamento della prospettiva insito nel consenso implica un ribaltamento delle logiche machiste. Io non debbo essere costretta a dirti no, io se voglio e posso, nel senso di “essere in grado di”, ti dico sì e solo con questo sì condiviso potremmo fare delle cose, ad esempio berci un tè.
Argenide
RIFERIMENTI
La cultura dello stupro-Guida per gentiluomini.Tratto da Malapecora. noblogs.it https://malapecora.noblogs.org/post/2014/09/03/cultura-dello-stupro-guida-per-il-gentiluomo/
https://www.youtube.com/watch?v=Kj2qy08xQ8w
http://www.ilpost.it/2017/02/01/stupro-preservativo-violenza-sessuale-consenso/
#Consenso: se capisci quando lei vuole un tè perché non sai quando vuole il sesso?